Vi è un tempo, nella coscienza, ritmato dagli echi di ieri, dalle voci di oggi, e dentro vi si aprono silenzi, a volte, come pause alle ansie dei giorni, uno sull’altro; pause, come seni, dove arrivano lenti spigoli di mare, e lambiscono improbabili ruderi (non per chi conosce le coste tirreniche del sud), residui di vita, riscoperti e rivissuti dall’Erede, ora non più barcaiolo, del mito dell’Eroe navigatore.
Il mare pallido di Frojo, dal quale emergono ancora caldi di vita i residui di una civiltà interrotta (dal bagliore del sole, dalla
violenza della storia?) si impone per il senso profondo dell’avventura esistenziale che comunica
- vita/morte, fine/principio - il senso di un’esperienza da ricominciare ogni giorno.
La barca, motivo dominante, in una reiterazione che lascia il senso di un discorso mai chiuso; di quadro in quadro, è il simbolo della perpetua disponibilità al viaggio, su cui l’Uomo ha da sempre costruito la sua vicenda.
La maestria con cui Frojo dispone i colori sulla tela consente quel miracoloso equilibrio tra realtà e simbolo che fa affiorare dall’esperienza individuale la dimensione del mito; ed è forse questo il dato più rilevante, identificante della pittura di Frojo: che la profondità della sua comunicazione non crea gorghi di
disperazione, bensì apre spazi di serenità infiniti, come il Tempo e lo Spazio di questo nostro universo d’uomini……E il lettore sente che il pittore ha calato nel chiarore delle sue tele una serenità limpida, la sua saggezza d’uomo che ha conosciuto abbandoni, solitudini e il senso della fine, eppure sa ancora donarsi col suo calore, a volte di fanciullo, per nuove
dolcinquiete occasioni, occasioni eterne (un volto bruno di donna), alla Vita, vicenda eterna di silenzi e di voci.
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